1. Origini
del moderno spirito cavalleresco. Antiche disposizioni in materia equestre
L’origine medievale della cavalleria nonché dei valori spirituali
e lato sensu morali che a essa sono tradizionalmente connessi sembra possa
esser collocata a partire dal secolo VIII, durante le grandi lotte della
cristianità contro gli Arabi: la circostanza di doversi confrontare
con tali agilissimi combattenti a cavallo incise così profondamente
sulla compagine degli eserciti da spostarne il nerbo dalla fanteria alla
cavalleria.
Come principio ispiratore, la nuova milizia era libera a tutti. Ciò
è attestato dagli antichi Capitolari: così, il Capitulare
missorum, del 786 d.C., parla non solo di cavalieri non nobili ma anche
di servi che, in rapporto di vassallaggio con il loro signore, potevano
avere armi e cavallo; il Capitulare de causis diversis, dell’807,
contiene l’ordine impartito da Carlo Magno a tutti i caballarii di
addivenire al suo placito bene equipaggiati, disponendo altresì
che i meno agiati debbano armare ogni sette persone un cavaliere; l’Edictum
Pistense, dell’864, prevede il divieto di Carlo II ai conti e ai
ministri regi di usare violenza alla persona o ai beni dei Franchi pagensi
aventi cavalli.
Da tutte queste disposizioni si evince, di pari passo con l’evoluzione
dell’istituto, il progressivo imporsi della prestazione del servizio
a cavallo come ragione di forza e titolo d’onore anche della classe
feudale: miles, nel secolo IX e nel X, indica infatti a un tempo il combattente
a cavallo e il feudatario.
Invero, se il feudalesimo si costituì sin dalle origini come classe
chiusa e ordinata in una rigida gerarchia facente capo all’imperatore,
anche la cavalleria non tardò ad avere proprie consuetudini e proprie
leggi, rimanendo, almeno come principio, istituzione aperta e libera a
tutti, con non altre distinzioni segnate se non dal valore: così,
mentre nel feudalesimo uno specifico giuramento di fedeltà legava
il vassallo a un determinato signore, il cavaliere era tenuto solamente
al giuramento di fedeltà verso i principî supremi di giustizia,
onore, riverenza a Dio, difesa delle donne e dei deboli ( principî
che dovevano, per altro verso, ispirare tutte le sue azioni ).
Tale specifica e peculiare essenza della cavalleria spiega anche i caratteri
dell’educazione cavalleresca, per cui la cavalleria, pur non essendo
una casta sociale in quanto non identificantesi senz’altro con la
nobiltà, costituiva tuttavia un corpo con funzioni e ideali ben
determinati, che si reclutava nella classe dei nobili e dei signori e che
si sentiva unito da vincoli morali e religiosi distinti da quelli di razza
e di nazione ( e che perciò poteva considerarsi, almeno in parte,
una vera organizzazione sopranazionale ).

2. La nascita della
morale cavalleresca. L’educazione cavalleresca: il decalogo
del Cavaliere
Il motto del cavaliere era “ la mia anima a Dio, la mia vita al
Re, il mio cuore alla Dama, l’onore per me ”, onde il cavaliere
doveva abituarsi a difendere la fede, a porsi al servizio dei deboli
e degli oppressi e a elevare il suo spirito nel culto platonico e romantico
della donna, consacrandole pensieri e opere degne: tutto era poi idealizzato
e permeato dalla coscienza di essere militi di Cristo e della sua Chiesa.
Altra caratteristica dell’educazione cavalleresca - accanto alla
bravura nelle armi, al coraggio e allo spirito d’avventura - fu
costituita dall’importanza attribuita dal cavaliere alla cortesia
e al sentimento dell’onore, che nel significato equestre possono
essere ricondotti ai concetti di galateo, rispetto verso il prossimo,
benignità verso gli inferiori, fede nella parola data e al servizio
di cui era investito, disprezzo di ogni viltà, amore di gloria
militare, prontezza a dare, poca cura della ricchezza.
I doveri del cavaliere, pertanto, erano riassunti nel seguente decalogo:
1. Crederai quanto insegna la Chiesa e osserverai i suoi comandamenti
2. Proteggerai la Chiesa.
3. Rispetterai e difenderai i deboli.
4. Amerai il paese dove sei nato.
5. Non indietreggerai innanzi al nemico.
6. Farai guerra senza tregua e senza grazia agli infedeli.
7. Adempirai fedelmente i tuoi doveri feudali se non sono contrari alla
legge di Dio.
8. Non mentirai e non mancherai alla parola data.
9. Sarai generoso e liberale con tutti.
10. Dovunque e sempre sarai campione del diritto e del bene contro l’ingiustizia
e il male.

3. Il carattere ospitaliero
delle primigenie istituzioni cavalleresche
Data la fondamentale premessa secondo cui cavalleria e feudalità
non si possono confondere insieme né sovrapporre concettualmente,
ragione del progressivo differenziarsi della cavalleria dalla società
feudale fu il principio della parità fra tutti i cavalieri, dovuto
essenzialmente al possesso degli stessi bisogni e delle stesse aspirazioni
( sì che il vincolo spirituale e la colleganza di sentimenti comuni
valsero per altro verso a gettare i primi germi d’un loro universale
ordinamento ).
Troviamo così formata la nuova morale cavalleresca già all’epoca
della prima crociata ( sec. XI ): quando nel 1076 le orde dei Turchi
Selgiudici invasero l’impero arabo, impadronendosi di Costantinopoli
e minacciando di asservire tutta l’Europa, cominciò una
triste era di persecuzioni per i cristiani che si recavano in pellegrinaggio
in Palestina e per gli addetti alle istituzioni ospitaliere sorte di
conseguenza in Terrasanta per curare i pellegrini ( mentre la fondazione
di ospedali come quello di San Giovanni in Gerusalemme era stata dapprima
assecondata dai Califfi, che avevano concesso libertà di culto,
aiuto e protezione ai pellegrini contro il versamento di tributi annui
).
Le successive persecuzioni nei confronti dei cristiani indussero il Pontefice
Urbano II a bandire nel 1095 da Clermont, in Francia, la prima Crociata,
alla quale presero parte tutti i cavalieri degli Stati cristiani, motivati
spiritualmente dal verbo ieratico e ispirato di Pietro l’Eremita
e capitanati militarmente da Goffredo di Buglione e Raimondo da Tolosa,
che innalzarono la Croce di Cristo a emblema della grandiosa impresa.
Fu allora che la cavalleria raggiunse i più alti prestigio e potenza,
animata com’era dal fine nobilissimo di vigilare e difendere la
conquista dei Luoghi Santi, così duramente conseguita. Ciò
comportò pertanto la riunione dei cavalieri in ordini a carattere
religioso e militare, che unirono all’originario scopo perseguito
dai frati ospitalieri quelli di vigilare e di difendere con le armi il
Santo Sepolcro; di proteggere i cristiani e i pellegrini che si recavano
in Terrasanta; di curare i feriti e i malati delle relative spedizioni
militari nonché di liberare i cristiani caduti a seguito di esse
in cattività e in servitù ( basti pensare al voto eroico
dei Mercedari di dare se stessi in schiavitù per liberare il fratello
prigioniero ).
Il proposito costitutivo di questi sodalizi era di natura quasi monastica:
per curare gli infelici martoriati dalla lebbra, morbo la cui vista incuteva
ribrezzo e timore e la cui presenza risultava per gli ebrei un castigo
di Dio, si consacrarono i membri di San Lazzaro; a difendere i pellegrini
dagli assalti e dalle angherie dei musulmani si votarono i Cavalieri
Teutonici; a raccoglierli, ristorarli e nutrirli fu l’opera dell’Ordine
del Tempio, e a guarirli dalle malattie furono gli Ospedalieri di San
Giovanni, oggi detti di Malta ( si riproduce un passo sui Templari di
León Gautier, secondo cui “ il soldato ha la gloria, il
monaco il riposo, il Templare rifiutava l’una e l’altro.
Egli riuniva ciò che queste due vite hanno di più duro:
i pericoli e le astinenze. La grande epopea del medioevo fu la guerra
santa, la Crociata; l’ideale della crociata pareva realizzarsi
nell’Ordine dei Templari: erano la crociata divenuta stabile e
permanente ” ).
Tutti questi Ordini adottarono regole di tipo monastico, richiamandosi
alcuni alle prescrizioni di San Basilio, altri alla regola cistercense,
altri ancora agli insegnamenti di Sant’Agostino e di San Bernardo.

4. Declino della Cavalleria.
La nascita degli Ordini equestri e militensi
Gli sviluppi dei secoli XII e XIII portarono la cavalleria a costituirsi
come dignità eminentemente personale, e di ciò sono prova
vari precetti, quali il divieto della trasmissione ereditaria del titolo
- che ogni cavaliere doveva sapersi guadagnare da sé - e il corrispondente
diritto di ogni cavaliere di creare nuovi cavalieri, in quanto depositario
del nuovo spirito di cui la cavalleria era portatrice: eroi di coraggio
e di pietà, creatori di potenza, di virtù e di bellezza,
che erano capaci di infondere nei novelli confratelli per la difesa e
il trionfo della fede.
Dopo la metà del secolo XIII e più ancora nel corso del
secolo XIV, la cavalleria, di pari passo con la diffusione delle compagnie
di ventura, soffrì di una progressiva decadenza dovuta al divenire
mestiere dell’esercizio delle armi. Con il secolo XV e l’invenzione
della polvere da fuoco, il decadimento fu completo, perché decrebbe
la preminenza alle truppe a cavallo anche come ordinamento militare.
Rimasero solamente gli Ordini Cavallereschi, allora, a tramandare nei
secoli il nome e gli ideali immortali – di sangue, dello Spirito,
di virtù e del merito – che sin dai primordi avevano connotato
il Corpo della Cavalleria.
Gli Ordini, persi così gli originari caratteri dell’epoca
delle prime Crociate, si evolsero entro la forma dei c.d. ordini indipendenti
ovvero divennero talvolta appannaggio di Case Sovrane, i cui membri ne
assunsero il titolo di Gran Maestro e li plasmarono entro istituzioni
dinastiche, legate al patrimonio statuale della Corona quando non familiare.
Tale trasformazione valse anche a definirne gli scopi entro la cornice
della sanzione del riconoscimento dei doveri individuali e sociali, che
si definì nella ricompensa degli atti di devozione all’Ordine,
alla Nazione o alla Dinastia, e altresì nel premio dei meriti
degli insigniti nei varî campi di espressione della creatività
e della carità umane e delle virtù civili e cristiane.
Le regole di comportamento degli appartenenti agli Ordini, originariamente
stretti da voti religiosi, divennero, a imitazione dell’alto e
glorioso retaggio cavalleresco, valori, patrimonio e modello di sostegno
morale di tutta l’umanità, in ogni tempo: così, a
esempio, la fede in Dio, la condotta d’onestà e di solidarietà
umana, la protezione dei deboli e degli indifesi, il culto dell’onore,
il rispetto della parola data, il ripudio della menzogna e della violenza,
la lealtà verso i propri stessi nemici, il rispetto della donna,
la tutela delle vedove e degli orfani, la fedeltà al Sovrano,
si fecero pregnante momento identificativo, morale e spirituale, dell’appartenenza
all’Ordine della Cavalleria astrattamente inteso.
Le vicende storiche che determinarono talvolta lo scioglimento degli
Ordini non poterono intaccarne il forte radicamento nella coscienza dei
popoli e di quelle famiglie i cui membri ne furono insigniti e poterono
fregiarsi di essi, ma il costume di contrassegnare onorificamente il
merito di quanti si fossero dimostrati degni divenne in seguito appannaggio
tout court degli Stati e delle Nazioni contemporanee.

5. La secolarizzazione
degli ordini cavallereschi a seguito della rivoluzione francese
Gli ordini cavallereschi vennero così progressivamente a connotarsi
come religio, cioè come associazioni o comunità aventi
per capo un Magister Magnus.
Se i membri della religio facevano professione di fede e di seguire una
determinata regola monastica approvata dai Pontefici, divenivano frati,
con i relativi obblighi di indossare un certo abito, combattere contro
gli infedeli, scortare i pellegrini che andavano ai luoghi santi, porsi
negli ospedali dell’ordine a servizio dei malati. In tal caso,
gli ordini assumevano il nome di Sacra Religio: un cavaliere del Cristo,
cioè, si onorava di portare l’abito perché faceva
così mostra della sua devozione alla Chiesa.
Altre volte, gli ordini richiedevano invece per l’ammissione la
prova del possesso nei membri di determinati requisiti di nobiltà
( i così detti quarti, da 4 a 16, a seconda della nazionalità
e dei tempi ), e allora prendevano il nome di Sacra Religio et Ordo Militaris
( Militaris in quanto derivato da miles, cavaliere, nel senso feudale
di cavaliere di nascita - di nobiltà titolata - in contrapposto
a Equestris, da eques, cavaliere di elezione, tale cioè per aver
ricevuto da altri siffatta qualità, ma non per nascita ).
Anche oggi negli ordini militari il possesso dei requisiti di nobiltà
determina una differenziazione di categoria, per cui si hanno cavalieri
di giustizia, di questa specie per aver prodotto prove nobiliari, e cavalieri
di grazia o magistrali, senza prove ma così creati per grazia
del Gran Maestro.
Dopo la rivoluzione francese, gli ordini cavallereschi persero il carattere
di Sacra Religio, cioè di sodalizi a un tempo monastici e guerrieri,
e divennero ordini di merito, cioè persone giuridiche o enti morali
consistenti in raccolte di persone cui era conferita una decorazione
in ricompensa di benemerenze acquisite per meriti civili, militari o
burocratici, per prestazioni rese a vantaggio della collettività,
del Capo dell’Ordine o del Sovrano, della Chiesa Cattolica o dell’Ordine
stesso.
Tuttavia, la secolarizzazione degli ordini equestri avvenuta in molti
paesi Europei per l’esigenza di adattare l’istituzione cavalleresca
allo spirito moderno o a mutate situazioni istituzionali, finì
per generare solamente confusione storica e pasticci giuridici, in quanto
rappresentò nulla più che un’incongruenza e una contraddizione.
A sottolineare l’enunciato, si riporta un significativo passo di
S.S. papa Pio XII tratto dal Discorso ai Cavalieri del 15 gennaio 1940:
“ Molto prima che le Nazioni fossero giunte a stabilire un diritto
internazionale l’Ordine di San Giovanni aveva riunito, in una fraternità
religiosa e sotto una disciplina militare, uomini di otto lingue diverse,
votati alla difesa dei valori spirituali che custodiscono l’appannaggio
comune della Cristianità: la fede, la giustizia, l’ordine
sociale e la pace ”.
A titolo meramente esemplificativo, se il Sovrano Militare Ordine di
Malta cancellasse i vincoli religiosi dei suoi membri, perderebbe la
forza, il valore e il prestigio che ha conservato perché rimasto
pressoché
immutabile attraverso i secoli, non essendosi curato delle rivoluzioni
né avendo ceduto alle esigenze di una male intesa modernità.

6. Gli ordini cavallereschi
indipendenti e le associazioni dei loro cavalieri
Peraltro, dato che la forma è veicolo della sostanza, lo spirito
cavalleresco deve potersi esprimere attraverso istituzioni che siano
in grado di riaffermare se stesse non solo storicamente ma anche giuridicamente.
Con riguardo alla fonte dell’investitura, gli ordini cavallereschi
possono essere divisi in ordini statuali e pontifici da una parte e in
ordini indipendenti dall’altra: per quanto concerne i primi, si
tratta di ordini istituiti o la cui Gran Maestranza è detenuta
dal Sovrano, dal Capo dello Stato o dal Pontefice - le cui potestà,
cioè, sono sovrane da un punto di vista territoriale o spirituale.
Gli ordini indipendenti, invece, sono tali per esclusione, in quanto,
cioè, non siano creati o detenuti in gran maestranza da sovrani
o da capi di stato ( ancorché i capi di detti ordini discendano
da ex case sovrane o derivino il loro potere da antiche concessioni fatte
da pontefici, dalla effettuata ricostituzione di antichi ordini estinti,
ovvero, nell’ambito degli ordini di nuova concezione, dalla elezione
fatta dai loro membri ).
Gli ordini indipendenti possono essere quindi costituiti – anche
se la forma giuridica più frequente di essi è l’ente
o l’associazione non riconosciuta - in persone giuridiche private,
il cui eventuale riconoscimento, previsto dall’art. 12 del codice
civile del 1942 1,
riguarda la loro esistenza giuridica come ente collettivo, avente vita
propria nonché, secondo quanto fissato dai rispettivi statuti,
fine lecito non contrastante con l’ordinamento giuridico ( ossia
vita distinta da quella dei propri componenti ): gli ordini c.d. indipendenti
hanno per capo un Gran Maestro e risultano costituiti dalla unione di
più persone per il raggiungimento di fini religiosi, sociali,
assistenziali, di beneficenza, filosofici, culturali o filantropici.
È comunque da escludere che il riconoscimento di esistenza giuridica
importi l’ammissione che l’attività da essi svolta
sia ritenuta conforme a quella dello Stato, o sia da questo in qualche
modo avallata.
Il campo di azione dell’attività degli ordini indipendenti
può essere nazionale o internazionale, anche se sono più
comuni l’ambito sopranazionale e il carattere confessionale, prevalentemente
cattolico, di tali ordini. La sede del Gran Magistero può essere
stabilita in Italia o all’estero, e le nazioni non sedi della Gran
Maestranza sono generalmente stabilite dagli ordini in giurisdizioni.
Se gli ordini indipendenti assumono il nome di antichi ordini estinti,
ciò non significa che essi ne rappresentino - tranne qualche rara
eccezione - la continuazione, ma costituiscono invece ricostituzioni
nelle quali non si conservano più i caratteri dell’ordine
originario. Se assumono la denominazione di un Santo, non conservano
necessariamente il carattere sacro né sono sottoposti a regole
monastiche o sono alle dipendenze della Santa Sede. Se i Gran Maestri
sono scelti fra i membri di famiglie ex sovrane o fra nobili di altissimo
lignaggio, ciò
è dovuto alla circostanza che gli ordini sono dinastico-familiari
– appartenenti cioè al patrimonio privato di una famiglia
anche non sovrana -, ovvero al fatto che si ritiene di poter derivare
nome e prestigio dall’autorevolezza dei capi scelti (oppure per
assumere un segno esteriore di religiosità, anche se di fatto
talvolta essa può mancare del tutto ).
Mentre gli ordini statuali si vedono riconosciuta e garantita la loro
esistenza dalla perpetuità dello Stato, gli ordini indipendenti,
per sopravvivere ai singoli decorati, devono ricorrere a strumenti diversi,
sostanziantisi nell’attribuzione di ereditarietà a certe
decorazioni conferite, o nella creazione di istituzioni benefiche a carattere
permanente o di enti religiosi annessi all’ordine, o nella costituzione
di associazioni fra i cavalieri dell’ordine.
Negli ordini a carattere internazionale, tali associazioni assumono il
compito di attuare gli scopi fissati dagli ordini nei relativi statuti,
con specifico riferimento al numero dei cavalieri che le compongono,
alle circostanze di tempo e di luogo delle nazioni dove essi agiscono
nonché
dei mezzi finanziari di cui dispongono. Gli ordini hanno pertanto la
funzione di fissare le finalità e tracciare le direttive per l’attuazione
degli obiettivi di carattere generale, mentre le associazioni costituiscono
a un tempo organi propulsori ed esecutivi degli Ordini sul piano concreto
delle realizzazioni, perché si confrontano con le nuove correnti
di idee e di civiltà e con i bisogni e le difficoltà cui
vanno incontro nella loro azione quotidiana, divenendo in tal modo strumento
di adeguamento degli ordini alle nuove necessità.

7. L’ordinamento
cavalleresco positivo. La legge 3 marzo 1951, n. 178
La legge 3 marzo 1951, n. 178, intitolata “ Istituzione dell’Ordine
‘ Al merito della Repubblica Italiana ’ e disciplina del
conferimento e dell’uso delle onorificenze ”, vieta ai cittadini
italiani sia l’uso nel territorio della Repubblica di onorificenze
o distinzioni cavalleresche loro conferite in Ordini non nazionali o
da Stati esteri ( salvo che non siano autorizzati con decreto del Presidente
della Repubblica, su proposta del Ministro per gli affari esteri 2 ),
sia il conferimento di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche,
con qualsiasi forma e denominazione, da parte di enti, associazioni o
privati.
La legge punisce parimenti l’uso, in qualsiasi forma e modalità,
di tali onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche, anche
quando il conferimento sia avvenuto all’estero 3.
La giurisprudenza meno recente esclude sanzioni per le concessioni avvenute
all’estero. Nelle concessioni fatte a Cascais da Sua Maestà
Re Umberto II, era comunque esplicitamente ricordato che “ attualmente
in Italia vigono precise norme che vietano di fregiarsi di onorificenze
non riconosciute dallo Stato ”.
Una decisione del Tribunale di Roma, IX sez. pen. ( sent. 24-02-1962
), pronunciatasi in materia di conferimento e uso di onorificenze cavalleresche
concesse da ordini indipendenti, osserva che “ non vi è dubbio
che la legge 3-3-1951 n. 178 ha inteso tutelare con una adeguata protezione
giuridica il prestigio delle nuove distinzioni cavalleresche istituite
con l’Ordine al merito della Repubblica Italiana, unica fonte di
onori nello Stato repubblicano, nel quale il nuovo ordinamento politico
e sociale ha importato come logica e giuridica conseguenza la soppressione
di tutte le distinzioni cavalleresche e nobiliari prima esistenti, sopprimendo
altresì qualsiasi riconoscimento della legittimità delle
fonti da cui le stesse provenivano. La tassatività di tale soppressione
trova uniche eccezioni, espressamente menzionate dalla legge in questione,
nelle onorificenze della Santa Sede, dell’Ordine del Santo Sepolcro
e del Sovrano Militare Ordine di Malta. L’uso di distinzioni cavalleresche
di Stati esteri e di ordini non nazionali è subordinato all’autorizzazione
del Presidente della Repubblica. È evidente quindi che la Repubblica
Italiana, unica fonte di onori secondo il diritto statuale, limita la
propria sovranità in tale campo solo a favore delle persone giuridiche
anzidette, specificamente indicate, e consente l’uso di onori tributati
da Stati esteri e da ordini non nazionali solo se il Presidente della
Repubblica, con suo provvedimento, ne dà specifica autorizzazione.
Tale uso va inteso nel senso più lato della accezione etimologica
e non solo nel senso di pura ‘ ufficialità ’; invero
il Presidente della Repubblica, nel conferimento della facoltà
dell’uso suddetto, compie una manifestazione di sovranità
istituzionale e in pari tempo un accertamento della legittimità
della onorificenza conferita dallo Stato straniero o dell’ordine
non nazionale, atti che non possono sopportare alcuna riserva, incompatibile
con la pienezza ed esclusività del diritto e del potere derivante
dall’ordinamento statuale ”.
La citata sentenza conclude nel senso che “ possono quindi essere
elargite onorificenze a cittadini italiani da Stati esteri e da ordini
non nazionali, cioè ordini stranieri, che ricevono origine non
dagli ordinamenti giuridici statuali esistenti, bensì da patrimoni
araldici appartenenti a cittadini stranieri o aventi una propria personalità
giuridica internazionale ”.
Una recente sentenza ha altresì chiarito che “ per accertare
se un ordine cavalleresco operante in Italia sia di nazionalità
estera bisogna tener conto della nazionalità del titolare del
patrimonio araldico da cui l’ordine deriva, della cittadinanza
del dirigente dell’ordine stesso e dell’esistenza o meno
di riconoscimenti da parte dello Stato estero dove l’ordine ha
sede”4.
Inoltre, “ in virtù del combinato disposto degli articoli
7 e 8 della legge 3 marzo 1951, n. 178, il conferimento, non consentito
di onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche, include non
solo l’atto unilaterale di assegnazione del titolo “ cartaceo
” ma anche la cerimonia di investitura in quanto modalità
nella quale il predetto conferimento si attua ” 5.

8. La cornice fornita
dal diritto internazionale
Sotto altro profilo dell’ordinamento positivo, il diritto internazionale
riconosce la pretendenza al trono. Tale istituto sorge se manca la debellatio,
cioè la perdita della sovranità per rinuncia alle proprie
funzioni e alle particolari prerogative connesse all’effettivo
esercizio del potere, perché spetta in ogni caso al sovrano, in
qualunque modo sia stato spodestato, la continuazione di alcune manifestazioni
del potere regio.
Così, i titoli sovrani spettano al sovrano in quanto tale e ai
suoi discendenti, e restano di questa natura anche quando il sovrano
abbia perduto la effettiva sovranità su di un territorio, perché
la sovranità fa comunque parte del patrimonio della famiglia,
sia pur priva del jus gladii, vale a dire del diritto all’obbedienza
da parte dei sudditi, e del jus imperii, cioè della potestà
di comando.
Pertanto, un sovrano potrà sì essere privato del trono
e anche essere bandito dal paese ma non potrà mai essere spogliato
delle sue qualità native: in questa fattispecie, ha origine il
pretendente al trono, che mantiene intatti quei diritti della sovranità
al cui esercizio non è di ostacolo la mutata posizione giuridicoistituzionale,
mentre gli altri vengono sospesi.
Fra i diritti conservati integri sono compresi il jus majestatis, ossia
il diritto al rispetto e agli onori del rango, e il jus honorum, cioè
il diritto di conferire titoli nobiliari e gradi onorifici di ordini
cavallereschi di pertinenza ed ereditari facenti parte del patrimonio
dinastico-familiare della Casata.
In questo contesto, diverse sono le Case sovrane nonché le famiglie
di rango principesco che vantano lo status di legittima pretendenza,
non solo con una fons honorum riferita a un antico Stato talvolta imperiale,
ma anche con delle legittimazioni inerenti a ordini cavallereschi cosiddetti
dinastico-familiari, di corona o di natura indipendente. Si tratta di
istituzioni cavalleresche conformi al diritto internazionale, e pertanto
legittimate al conferimento di onorificenze al pari di quelle di un qualsiasi
Stato nazionale.

9. L’indefettibile
ruolo della giurisprudenza nell’affermazione della legittimità
del conferimento e della liceità dell’uso di onorificenze,
decorazioni e distinzioni cavalleresche
I principî degli anni ’50, contenuti nella legge n. 178/1951,
scossero le istituzioni equestri in modo ancipite e ipocrita, creando
confusione fra storia e politica laddove non allignava il disordine ma
regnavano la cultura e la tradizione.
A chiunque non osservi superficialmente le cose, la stonatura sembrerà
addirittura enorme.
È opportuno preliminarmente distinguere il grado cavalleresco
di cavaliere dal titolo nobiliare di cavaliere ereditario, e l’asserzione
secondo cui gli ordini indipendenti potrebbero eventualmente concedere
titoli nobiliari va approfondita attentamente alla stregua della disposizione
contenute nell’art. 8 della L. n. 178/1951 6.
Altresì, come dianzi accennato e siccome sostenuto dalla chiara
e costante interpretazione della giurisprudenza, nulla osta all’attribuzione
di piena legalità a qualsiasi Ordine anche non direttamente riconosciuto
dalla legge n. 178 citata, in quanto antecedente logico e giuridico di
ogni riconoscimento della legittimità di un Ordine è il
preliminare accertamento della posizione storico-giuridica del concedente,
solo a seguito del quale si può dichiarare trattarsi di “
Ordine non nazionale o di Stato estero ”, riconosciuti in quanto
tali dall’art. 7, 1° comma, della legge n. 178/1951.
La verifica dell’appartenenza dell’Ordine al patrimonio araldico
privato di un “ Capo di nome ed arme ”, con il relativo possesso
della prerogativa della fons honorum - in quanto tale soggetto di diritto
pubblico internazionale -, comporta la possibilità di ottenere
gli effetti positivi stabiliti dalla legge per l’uso delle decorazioni
cavalleresche nel territorio della repubblica italiana ( e la ovvia mancata
applicazione delle sanzioni conseguenti alla non osservanza del divieto
di utilizzo di onorificenze o distinzioni cavalleresche non considerate
promanare da Ordini non nazionali o da Stati esteri ).
Tale preventivo accertamento costituisce quindi indispensabile presupposto
della decisione, come si può evincere da moltissime sentenze passate
in giudicato nell’ultimo cinquantennio.
Non diversamente avviene in materia di cognomizzazione del predicato
nobiliare, prevista dalla XIV disposizione transitoria e finale della
Costituzione vigente, per cui è preliminare l’accertamento
della legale esistenza del “ titolo ” da cui esso dipende,
pur non essendo poi esso stesso riconosciuto dalla medesima norma costituzionale.
Ne consegue altresì che attualmente è soltanto la giurisprudenza
a poter riconoscere anche implicitamente - sia in sede penale che civile
e sulla scorta degli elementi storico-giuridici sottoposti al suo esame
-, la legalità di un Ordine sotto il duplice profilo della legittimità
della concessione e della liceità dell’uso.
Solo ove la magistratura ravvisi le caratteristiche di Ordine non nazionale
o di Stato estero, si rientra nel riconoscimento previsto dall’art.
7 della legge. Nella fattispecie in cui si fuoriesca da tali ipotesi,
sarà ordinato il divieto del conferimento delle distinzioni cavalleresche
perché rientrante nella categoria di cui al successivo art. 8,
in quanto cioè i relativi Gran Maestri non siano risultati possedere
la fons honorum e/o la degna continuazione di Capo Sovrano di un Magistero
che, come si è detto, è prerogativa dei rappresentanti
di una “ non debellata dinastia o Stato ”. Come tali, quindi,
non costituiscono privati cittadini ma, indipendentemente dalla rispettiva
nazionalità, soggetti di diritto pubblico internazionale, e quindi
nel pieno e legittimo potere di Crear Nobili e armar Cavalieri.

10. Considerazioni
introduttive sulla natura giuridica degli Ordini indipendenti
Ciò premesso, deve esaminarsi se gli Ordini indipendenti possano
ricomprendersi tra quelli non nazionali, ai sensi dell’art. 7 L.
n. 178/1951, e quindi sfuggire alla scure di cui al successivo art. 8;
la risposta negativa in ordine a tale quesito renderebbe superflua ogni
indagine circa la possibilità di conferimento e uso delle onorificenze
in questione.
È superfluo rilevare che essi, quali ente di fatto fondati unicamente
sul riconoscimento, da parte degli appartenenti all’Ordine, del
Gran Maestro, hanno una individualità giuridica ben distinta nel
loro status da quella dei membri, e come tali, pur non avendo personalità
giuridica, non possono tuttavia sottrarsi alla indagine in Italia in
ordine alla loro qualità.
Né potrebbe invero sostenersi che una questione di stato delle
persone – che, come eventualmente assumeremo, precluderebbe il
giudizio penale – possa condurlo, come conseguenza di una pronuncia
giurisdizionale, addirittura a una lesionepermanente e insanabile della
sovranità
dello Stato e del Presidente della Repubblica come esclusive fonti di
onori.
Il riconoscimento della qualità di Ordine non nazionale porterebbe
gli Ordini indipendenti all’ineluttabile, logico e giuridico effetto
di vedersi attribuita la qualità di soggetti di diritto internazionale.
Di conseguenza, l’eventuale ordine “ imputato ” con
priorato in Italia godrebbe di una doppia personalità giuridica:
l’una, all’interno dell’ordinamento della Repubblica
Italiana, soggetta alle leggi di questa, che consentono l’esistenza
del solo Ordine al merito della Repubblica Italiana ( con le tassative
eccezioni enumerate dalla legge n. 178, relative agli Ordini della Santa
Sede, del Santo Sepolcro e del S.M.O.M. ); l’altra, al di fuori
dell’ordinamento giuridico al quale è soggetto ( e del quale
è tenuto a rispettare le leggi ).
La illogicità di una tale estensione e duplicazione di status
potrebbe apparire macroscopicamente manifesta. Né può obiettarsi
che la personalità dell’Ordine è diversa dalla personalità
del Gran Maestro dell’Ordine stesso - ordine non nazionale - per
cui dovrebbe riconoscersi la soggettività di diritto internazionale
e, quale manifestazione di quella particolare soggettività, la
piena legittimità della facoltà di conferire onorificenze.
In ogni caso, ove non vi sia alcuna prova che l’Ordine sia stato
riconosciuto da alcun ordinamento giuridico o possa considerarsi soggetto
di diritto internazionale, esso trova esclusivamente in se stesso la
propria giustificazione. Come esattamente ho osservato, esso non è che
un ordine a base corporativa, privo di personalità giuridica,
così
che la sua nazionalità deve desumersi dalla nazionalità
dei suoi esponenti, dal luogo in cui si trova la sua sede nonché
dall’eventuale riconoscimento da parte di Stati stranieri.
Questa è l’unica indagine consentita all’eventuale
giudice, non potendo egli invero, nell’esame obiettivo dei suddetti
elementi, trovare limite e preclusione alcuna nelle sopra riportate decisioni
in sede civile, che mai potrebbero in ogni caso autorizzare un privato
cittadino italiano e/o un associazione a esercitare un diritto sovrano,
demandato a un organo statuale, con la conseguente violazione di norme
di diritto pubblico ( quali sono indiscutibilmente le disposizioni penali
di cui alla legge 3 marzo 1951, n. 178 ).
Dalla inequivocabile interpretazione di detta legge, suffragata da quanto
esposto negli atti preparatori e nella relazione parlamentare, non può
nutrirsi alcun dubbio sul fatto che il conferimento delle distinzioni
cavalleresche costituisce prerogativa assoluta ed esclusiva dello Stato,
salvo le tassative previste eccezioni. Possono quindi essere elargite
onorificenze a cittadini italiani o da Stati esteri (su di che, nulla
quaestio ) ovvero da Ordini non nazionali, che ricevano origine non dagli
ordinamenti giuridici statuali esistenti bensì da patrimoni araldici
appartenenti a cittadini stranieri o aventi una propria personalità
giuridica internazionale.
La determinazione della nozione di Ordine non nazionale ex art. 7 legge
n. 178, cit. ( che non è definita dal legislatore ma deve ricavarsi
dai principî ), è problema estremamente delicato e di grande
importanza pratica. Infatti, il riconoscere a un Ordine cavalleresco
la natura di Ordine non nazionale importa che il medesimo non rientra
nella previsione dell’art. 8, e che conseguentemente il conferimento
delle onorificenze di quell’Ordine è una attività perfettamente
lecita, e che il solo uso di esse può essere punito se non sia
intervenuta l’autorizzazione presidenziale.

11. La nozione di
Ordine non nazionale ai sensi della legislazione vigente
L’assenza di una precisa definizione legislativa e la difficoltà
della materia, che richiede una preparazione storico-giuridica particolare,
spiegano l’incertezza della giurisprudenza e l’insufficienza
delle soluzioni proposte.
Per chiarire i termini del problema, bisogna anzitutto sgombrare il campo
da alcune considerazioni che sono state spesso addotte per sostenere
la natura non nazionale di determinati ordini, e che in effetti sono
del tutto irrilevanti.
Che un Ordine non riconosciuto esplichi l’attività non solo
in Italia ma anche all’estero, che persegua fini ideali che trascendono
i confini del nostro paese, che il gran magistero sia ereditario e/o
per chiamata in una determinata persona e/o capitolo, sono tutte circostanze
che non influiscono sulla questione di cui si discute.
La nozione di Ordine non nazionale, enunciata nell’art. 7, deve
essere infatti desunta a contrario dal tenore del successivo art. 8.
Ritornando all’esemplificazione fatta sopra, se un ente o un’associazione
non riconosciuta esplica anche all’estero la sua attività,
essa non per questo potrà essere considerata un ente non nazionale,
esattamente come nessuno si sognerebbe di considerare non italiana una
società commerciale costituita in Italia, solo perché l’oggetto
dell’attività sociale si esplichi in parte, o anche per
intero ( art. 2509 cod. civ. 7 ),
all’estero.
Del pari, se il gran magistero appartiene a una determinata famiglia
nobile italiana ( sulle famiglie ex-regnanti si veda infra ), anche ammesso
che tale appartenenza sia storicamente dimostrabile, non per questo l’Ordine
potrà considerarsi non nazionale e conseguentemente il conferimento
delle onorificenze sfuggire alle sanzioni di cui all’art. 8.
E ciò per un duplice ordine di considerazioni: innanzitutto, perché
lo stesso diritto al gran magistero di un ordine cavalleresco, essendo
anche di natura nobiliare, deve considerarsi non più riconosciuto
dal nostro ordinamento giuridico per effetto della XIV disp. trans. Cost.;
in secondo luogo, perché il conferimento delle onorificenze costituirebbe
l’esercizio di un diritto facente parte del patrimonio araldico
privato del soggetto, e come tale rientrerebbe nella previsione dell’art.
8, che vieta appunto la collazione di dignità cavalleresche da
parte dei privati.
In sostanza, il primo punto fermo da porre è che la qualifica
di Ordine non nazionale non può in alcun caso essere riconosciuta
agli ordini a base associativa e/o corporativa che, secondo i principi
generali sulla nazionalità delle persone giuridiche ( applicabili
per analogia anche agli enti di fatto ), siano da considerarsi enti italiani,
né a quegli ordini di carattere familiare che appartengono al
patrimonio araldico di un privato cittadino italiano.
Questa considerazione non esaurisce però i termini del problema.
Riteniamo infatti che anche se l’Ordine ha la sede all’estero,
è prevalentemente composto da stranieri, svolge principalmente
all’estero la propria attività, ha per Gran Maestro ( a
titolo ereditario o elettivo ) un cittadino straniero, insomma se secondo
i principî
generali sulla nazionalità delle persone giuridiche non deve essere
considerato un ente italiano, il medesimo non può, sulla sola
base di queste osservazioni, essere qualificato come Ordine non nazionale
agli effetti dell’art. 7 legge 3 marzo 1951, n. 178.
Quello che è invece decisivo è che l’Ordine sia riconosciuto
come ordine cavalleresco da un ordinamento giuridico diverso da quello
dello Stato italiano, e cioè o dall’ordinamento di uno Stato
estero, o da quello della Santa Sede, da ordinamenti di natura religiosa,
o dal diritto internazionale. Questa conclusione è la logica conseguenza
dello scrupoloso esame delle norme in discorso.
La dizione Ordini non nazionali, non prevista dal progetto presentato
dal governo, venne inserita nel testo della legge per equiparare agli
Ordini cavallereschi degli Stati esteri le istituzioni che avessero con
questi una qualche analogia.
La tesi sostenuta in passato dal Rellini Rossi secondo cui “ con
l’espressione in esame la legge ha inteso alludere ad ordini aventi,
almeno in parte, caratteristiche di soggettività internazionale
”, non ci sembra pienamente condivisibile, perché la semipersonalità
giuridica internazionale è un concetto vago. Tuttavia, se non è
richiesta una personalità ( o quasi-personalità ) di diritto
internazionale, è in ogni caso necessario che l’Ordine e
le sue onorificenze siano riconosciuti da un ordinamento giuridico diverso
da quello italiano.
D’altra parte, se si considerasse Ordine non nazionale qualsiasi
ordine che avesse la sua sede all’estero o il cui gran magistero
fosse preteso jure haereditario da uno straniero, si permetterebbe una
facile elusione della legge, in quanto i troppi non riconosciuti e/o
sedicenti ordini cavallereschi operanti in Italia non avrebbero da far
altro che trasferirsi formalmente all’estero o attribuire il gran
magistero a un ente straniero.
Naturalmente, se un ordine “ fasullo ” esplica esclusivamente
la sua attività all’estero, la legge italiana non ha ragione
di occuparsene, ma se l’attività di un tale ordine viene
a interessare in qualche modo l’ordinamento giuridico ( per esempio
per la concessione di onorificenze a cittadini italiani ), riteniamo
che siano applicabili le sanzioni amministrative previste per l’abusivo
conferimento di distinzioni cavalleresche ( ex art. 8 L. n. 178/1951
).

12. Ordini religioso-cavallereschi;
Ordini familiari; Ordini a carattere associativo
In definitiva, in base alle considerazioni sopra esposte, pensiamo che
per i varî tipi di Ordini cavallereschi si possa giungere alle
seguenti conclusioni:
A) ORDINI RELIGIOSO-CAVALLERESCHI. Sia gli Ordini costituiti da religiosi
( a es. l’Ordine Teutonico ) sia quelli formati da laici ( a es.
l’Ordine Costantiniano di San Giorgio ) possiedono una soggettività
dal punto di vista dell’ordinamento giuridico della Santa Sede.
Essi sono da considerarsi pertanto Ordini non nazionali, con le conseguenze
di cui supra in ordine alla liceità del conferimento delle onorificenze
e alla possibilità dell’autorizzazione all’uso di
esse. Ma, come è noto, il vigente codice di diritto canonico tace
degli ordini religioso-cavallereschi, mentre solo alcuni di essi ( il
S.M.O.M., che però ha uno status del tutto particolare, e l’Ordine
Teutonico ), e cioè quelli i cui membri prestano i voti, rientrano
tra gli Ordini religiosi. Tuttavia, ciò non esclude che gli Ordini
cavallereschi esistenti prima della promulgazione del codex juris canonicis
( e che continuano a vivere secondo i propri statuti ) conservino il
loro particolare status e la loro posizione giuridica rispetto alla Chiesa
( si vedano a es. i provvedimenti adottati anche in epoca relativamente
recente dalla Santa Sede in merito all’Ordine Costantiniano e all’Ordine
Teutonico, che anche dopo le riforme del 1929 continua a nominare Cavalieri
).
B) ORDINI FAMILIARI. Bisogna distinguere varie ipotesi. Se l’Ordine
appartiene al patrimonio araldico di una famiglia tuttora regnante, esso
dovrà ovviamente essere equiparato agli ordini statuali. Se si
tratta di un ordine che ha carattere anche di ordine religioso ( a es.
l’Ordine Costantiniano ) valgono le considerazioni sopraddette.
Se l’ordine appartiene al patrimonio araldico di una famiglia straniera
non sovrana ( o ex-sovrana ), esso dovrà essere considerato non
nazionale se riconosciuto dalla legislazione dello Stato del quale il
Gran Maestro è cittadino. Se l’Ordine appartiene per diritto
ereditario a una famiglia italiana non ex-sovrana o a una famiglia straniera
che si trovi in analoga situazione e i cui diritti sull’Ordine
non siano riconosciuti dal suo Paese, il conferimento delle onorificenze
ricadrà, come si è visto, sotto le sanzioni di cui all’art.8.
Se infine si tratta di un ordine dinastico di una famiglia ex-sovrana
( e questa
è l’ipotesi che dà luogo a maggiori dubbi ), riteniamo
che l’ordine possa considerarsi non nazionale solo se all’ex-casa
regnante sia riconosciuto dal diritto internazionale o dagli Stati stranieri
un particolare status giuridico, una qualche rilevanza alla posizione
di famiglia exregnante e alle sue pretese di restaurazione, e pertanto,
a nostro avviso, tutti gli ordini dinastici e/o in degna continuazione
dovrebbero considerarsi non nazionali. Tale particolare posizione giuridica
non sarebbe senz’altro da negare a quelle famiglie le cui pretese
dinastiche si riallaccino a situazioni storiche, anche se lontane nel
tempo, le quali, anche dal punto di vista del protocollo, siano trattate
in altri Paesi alla stregua di pretendenti al trono ( a es., le Case
Sovrane Paternò Castello, Amoroso d’Aragona, Altavilla Sicilia-Napoli,
Focas Flavio Angelo Ducas Comneno de Curtis di Bisanzio, Casa Imperiale
d’Oriente Paleologo di Bisanzio, Austria d’Este, Asburgo-Lorena,
Borbone-Parma, etc. ).
C) ORDINI A CARATTERE ASSOCIATIVO. Debbono considerarsi non nazionali
solo quelli che abbiano ottenuto da uno Stato straniero un non equivoco
riconoscimento giuridico ( s’intende non semplicemente come associazioni
private ma come enti con facoltà di concedere onorificenze ).

13. Regime giuridico
degli Ordini cavallereschi di Casa Savoia prima e dopo la cessazione
degli effetti della XIII disp. trans. Cost.
A completamento di queste brevi note, aggiungo che a mio avviso le disposizioni
degli artt. 7 e 8 non riguardavano, sino alla cessazione degli effetti
della XIII disp. trans. Cost., gli Ordini cavallereschi della Monarchia
sabauda, per i quali era da considerarsi lecito il conferimento delle
onorificenze degli ordini dinastico-familiari di Casa Savoia, illecito
quello degli Ordini di Corona del cessato regime monarchico. Come è
noto, dopo la costituzione del regime repubblicano sono state emanate
per i vari ordini cavallereschi della monarchia varie disposizioni prescindendo
dalla natura storica e giuridica di essi, e in particolare ignorando
la distinzione fra ordini di corona ( dinastico-statuali ) e ordini dinastico-familiari.
In effetti, il problema dei rapporti fra un regime repubblicano e la
precedente dinastia ( salvo che vi sia un’accettazione del mutamento
istituzionale da parte della ex-casa regnante e il riconoscimento ai
membri di questa degli stessi diritti e doveri di tutti gli altri cittadini
) è
essenzialmente un problema politico, che non può essere risolto
alla stregua del diritto comune. Dopo la capitolazione di Gaeta, Francesco
II, sino al 1870, visse a Roma tenendo una corte, un governo, rappresentanze
diplomatiche, ecc., conferendo titoli nobiliari e onorificenze cavalleresche
e cercando in tutti i modi di rendere effettiva quella sovranità
che egli riteneva continuare a competergli de jure. Nessuno in Italia
si sognò di aprire contro di lui e contro i suoi ministri e collaboratori,
neppure dopo il ritorno di questi ultimi in Italia, un procedimento penale
per i vari reati che si sarebbero potuti teoricamente ravvisare nei loro
atti.
Per quanto riguarda gli Ordini cavallereschi della monarchia sabauda,
ciò importa che per quanto riguarda l’uso delle onorificenze,
è da ritenere che esse non possano essere autorizzate all’uso
in Italia e che pertanto gli insigniti non se ne possano fregiare. Per
quegli Ordini le cui onorificenze conferite prima del 1946 sono tuttora
riconosciute in Italia ( e cioè tutti gli Ordini della monarchia,
esclusa la SS. Annunziata ), i beneficiari di eventuali nuove concessioni
commetterebbero il reato di cui all’art. 498 c.p. ( usurpazione
di un titolo onorifico riconosciuto dallo Stato ).
Per l’Ordine della SS. Annunziata la situazione è particolare.
Infatti, la legge 3 marzo 1951 ha disposto la soppressione sia dell’Ordine
che delle decorazioni, e non è quindi applicabile l’art.
498 c.p., dato che, non trattandosi di un Ordine riconosciuto dallo Stato,
non è possibile parlare di usurpazione. In definitiva, la soluzione
più corretta è ritenere che l’uso pubblico delle
onorificenze della SS. Annunziata sia vietato, però senza sanzione
penale, cioè
non possano essere attribuite negli atti e nei documenti pubblici sotto
pena di sanzioni disciplinari nei confronti del pubblico ufficiale che
avesse compilato l’atto, mentre invece sarebbe lecito l’uso
privato di esse.
Per quanto concerne invece l’Ordine dei Santi Maurizio e Lazzaro
e al Merito Civile di Casa Savoia, la dichiarazione di fedeltà
alla Repubblica e al suo Presidente compiuta nel febbraio 2002 dai discendenti
della Sacra Maestà, Re Umberto II, ha comportato la debellatio,
cui la cessazione degli effetti della XIII disp. trans. fin. Cost. ha
aggiunto la considerazione dei Savoia come privati cittadini a tutti
gli effetti, cui dovrebbero conseguire gli effetti e le sanzioni di cui
all’art. 8 L. n. 178/1951.

14. Conclusioni
Per concludere, non desidero credere che la legge n. 178/1951 abbia carattere
spiccatamente demagogico, perché così esprimendosi avrebbe
commesso un macroscopico errore giuridico e di fatto, né carattere
spiccatamente egualitario, perché nessuno pretende di ripristinare
gli antichi privilegi della Cavalleria. Si è comunque raggiunto
l’effetto di soffocare con una legge, almeno in Italia, quanto
di più bello, storico e tradizionale molti Stati preunitari e
famiglie abbiano avuto.
La dignità delle tradizioni è concetto morale, non giuridico,
e pertanto non può trovare luogo nella soluzione di una questione
puramente giuridica.
La dignità di degna continuazione – che significa eccellenza
morale, o quanto meno possesso di un certo grado di virtù, di
eletti sentimenti di buone opere e costumi - non dipende dalla legge,
la quale, come non comanda l’ingegno, la salute, la bellezza, così
non comanda la qualità della mente e del cuore e non può
discriminare i migliori e i peggiori cittadini.
Tuttavia, ciò che è altresì consentito è l’accertamento
probatorio dell’indiscutibile valore della tradizione e della storia
dell’Ordine mediante un atto giuridico che si chiama sentenza arbitrale
internazionale avente forza di sentenza di primo grado 8,
ai sensi degli articoli 806 e seguenti c.p.c., avente forza di sentenza
fra le parti, gli eredi o aventi causa 9,
ed efficacia di cosa giudicata se non impugnata nei modi e nei termini
di legge 10.
Il giudice unico potrebbe dichiarare tale sentenza arbitrale esecutiva
nel territorio della Repubblica, e dare ordine di pubblicazione nella
Gazzetta Ufficiale ( il nostro Istituto ha ottenuto l’accertamento
di ben sette Ordini cavallereschi ).
Oggi, malgrado il vento di democrazia che spira, sono ancora molti coloro
che ai titoli di nobiltà morale ( cioè cavallereschi )
ammettono ancora un’innegabile importanza storica; e qualunque
sia l’opinione che si abbia in proposito, quello che è certo è che
si è
di fronte al fenomeno della reale esistenza di tali ideali, che il diritto
deve studiare per regolare gli attriti che ne possono sorgere.
A tale proposito, i Romani Pontefici hanno da sempre considerato con
speciale caritas le istituzioni capaci di premiare il merito come uno
stimolo al bene, ed è importante a questo proposito ricordare
il pensiero di papa Pio X: “ Le ricompense concesse al merito contribuiscono
a suscitare nei cuori il desiderio delle azioni generose, poiché
se esse glorificano gli uomini che hanno singolarmente meritato dalla
Chiesa e dalla Società, servono anche di sprone per tutti gli
altri, a seguire la stessa via di Gloria e di Onore ”.
Perciò, nella nostra qualità di modesti cultori della storia
e delle tradizioni, non possiamo sottrarci all’imperativo categorico
di impegnare tutti noi stessi e ogni nostra cognizione nella battaglia
di accertamento legale dell’esistenza, e del diritto a esistere,
degli Ordini cosiddetti indipendenti, mirando sia a farli riconoscere
dalla magistratura italiana che da parte di ordinamenti giuridici di
altri Stati, in modo che tali Ordini si possa esprimere attraverso il
conferimento di titoli onorifici cavallereschi e l’utilizzo delle
relative decorazioni, come Ente, in conformità delle previsioni
di cui alla legge n. 178/1951.
In conclusione, allo stato attuale e schematicamente, per poter conferire
onorificenze, decorazioni e distinzioni cavalleresche e perché
ne possa essere autorizzata l’ostensione:
1. la sede dell’Ordine deve essere all’estero;
2. il Gran Maestro deve essere di nazionalità straniera e/o un
soggetto di diritto pubblico internazionale;
3. il conferimento e la cerimonia di investitura devono avvenire all’estero;
4. l’Ordine deve poter operare in maniera mediata, in sintonia
e collegamento con una congregazione a carattere religioso e con un’associazione
non profit;
5. è indefettibile un arbitrato internazionale;
6. la condizione di cui al punto precedente è strumentale anche
al positivo espletamento del requisito imprescindibile del riconoscimento
da parte di un ordinamento giuridico straniero;
7. deve essere tenuto in considerazione l’ammonimento della Santa
Sede sugli “ equivoci purtroppo possibili e ad impedire la continuazione
di abusi, che poi risultano a danno di molte persone di buona fede, siamo
autorizzati a dichiarare che la Santa Sede non riconosce alcun valore
ai diplomi e alle relative insegne, che siano rilasciati da cosiddetti
su indicati Ordini ”11
I privilegi della Cavalleria – e mi avvio veramente a concludere
- sono stati, è vero, soppressi, ma essi rappresentavano la differenza
dei diritti non quella dei doveri, tuttora permanente, e pertanto non
si potrà impedire a chi vi è predisposto per sangue o per
merito di pensare altamente e operare secondo le direttive di una morale
assoluta e accettata fin nelle sue estreme conseguenze.
Ogni vero Cavaliere saprà sempre affermare le proprie idee, immutabili
nel contenuto spirituale, e farne apprezzare il merito. Esso vivrà
giustamente orgoglioso della sua vita, e ciò farà sì
che gli aggettivi di nobile e di cavalleresco continueranno a esprimere
sentimenti e atti degni di encomio e di imitazione.
Occorre servire queste grandi virtù, finché vi saranno
deboli da tutelare e prepotenti da reprimere, e finché l’umanità
avrà un’idea per cui lottare e soffrir martirio.
La pace a cui aneliamo non è quella della debolezza e del sonno
- acquiescenza cointeressata al male -, ma la pace dei forti, la pace
della giustizia. E questa non si consegue che attraverso una lotta pertinace:
vuole Cavalieri che sappiamo versare in silenzio, sino all’ultima
stilla, il sangue dell’anima, olocausto d’espiazione, sull’altare
della verità.
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